“La capu è nnu spuégghiu ti cipòdda” – L’ultimo lavoro della “Compagnia Gruppo Teatro Carmine” portato in scena al Teatro Monticello di Grottaglie nei giorni 23-24-25 marzo 2012.

Un lavoro alquanto impegnativo quello portato in scena dalla Compagnia Teatro Carmine di Grottaglie. Il titolo in vernacolo della commedia “La capu è nnu spuégghiu ti cipòdda” che vuol dire “La testa è come una sfoglia di cipolla” mette a nudo le ferite interne dell’uomo che si manifestano con disturbi fisici o malattie mentali. Ambientata in una ipotetica casa di cura dove orbitano pazienti con stravaganti modi di fare e di parlare, gli attori ci introducono con bravura nel mondo diverso del “normale”. A curarsi di loro un medico al primo incarico con tanta voglia di fare bene il suo lavoro ed una infermiera premurosa che riesce a convivere con i malati per un buon rapporto umano. La grande letteratura e il teatro, hanno sempre portato sulle scene ciò che avviene sulla scena del mondo facendo indossare ai pazzi ufficiali l’abito della malattia mentale, che non è solo quella dell’efferato Macbeth o del folle Lear, ma anche del malato immaginario di Molière, o dell’avaro dello stesso autore. A sdoganare la follia, rendendola piacevole e comprensiva con chiavi di lettura e suggerimenti di vita, la recitazione dialettale della compagnia e la comicità di alcuni personaggi, genuina e scoppiettante di un passato scomparso, che aprono le porte alla risata ma anche alla sensibilità e tolleranza. Il filo conduttore della commedia è senza dubbio la chiara affermazione che tutto ciò che è malato nell’uomo nasce dalla mancanza d’amore. Tutto ciò che non va nell’uomo è in qualche maniera collegato con l’amore: o non è stato capace d’amare oppure non è stato capace di ricevere amore. In generale lui non è riuscito a condividere il suo essere. Da qui la sofferenza che crea complessi d’ogni genere. Ferite interne che vengono a galla con la malattia mentale nelle varie forme e comportamenti, ma che invece  manifestano la mancanza d’amore. Proprio come il cibo che per il corpo è vita, l’amore lo è per l’anima. Il corpo non può vivere senza nutrimento e l’anima non può vivere senza amore. In realtà, senza amore l’anima non nasce nemmeno – non arriva nemmeno al punto di pensare alla sopravvivenza. Se l’uomo non ama, non potrà mai conoscere la sua anima. E tutti i malati portati in scena dalla regia di Gaspare Mastro hanno manifestato, chi per un verso, chi per un altro, il desiderio di amare e di ricevere amore, di desiderare l’affetto o una piccola carezza da coloro che possono darlo in maniera semplice e autentica, anche se condizionati dalle situazioni e motivazioni. Come sempre il teatro offre spunti di riflessione che devono condurre a prendere le dovute contromisure per riequilibrare i comportamenti della società. Se i deviati mentali sono costretti a vivere in luoghi diversi dal normale, questo non vuol dire che la famiglia o la società li deve abbandonare perché loro hanno bisogno di maggiori attenzioni degli altri e soltanto stimolando continuamente il loro desiderio d’amore possono sperare in una nuova alba cantando “vincerò”, come il principe ignoto della famosa romanza “Nessun dorma” della Turandot di Puccini che chiude questo interessante lavoro della brava Compagnia Teatrale del Carmine.   Cosimo Luccarelli

A presto!