Anticamente era comune sentire tra la gente e specialmente sul lavoro (in particolar modo nelle botteghe dei figuli), il nome di strani santi giornalieri che si ripetevano settimanalmente per tutto l’anno. Ovviamente santi che con il calendario martirologico non avevano nulla a che fare, perché inventati dalla povera gente per affrontare in allegria la settimana di duro lavoro che iniziava all’alba e finiva al tramonto. Quali erano? Santu Sicutízzu – Santu Momò – Santu Popo’ – Santu Spartitúru – Santu Totói – Santu Nanà – Santu Sparpágghia. Vediamo ora chi sono questi “strani santi” e a quali giorni della settimana erano abbinati.
Lunedì = Santu Sicutízzu! (sicutízzu = per inseguimento, stare dietro, dare fretta, sbrigarsi) – Oggi come ieri il lunedì è sempre stato un giorno faticoso perché viene dopo la domenica, giorno di festa e di riposo. In questo giorno il maestro, capo, fattore, padrone, etc. rivolgendosi ai lavoranti diceva sempre: Vaglió, viti ca ósci è santu sicutízzu! era la tipica espressione per dire in breve: Vedi di sbrigarti, datti da fare, la settimana è appena iniziata e c’è tanto lavoro che non ti puoi permettere di perdere tempo!Gli operai borbottavano e lavoravano senza tregua.
Martedì = Santu Momò! (mò-mò = ora, adesso) – Il martedì si entrava nel vivo del lavoro settimanale e il maestro, capo, fattore, padrone, etc. sollecitava i lavoranti ad essere efficienti imponendo sempre più lavoro del previsto. Gli operai al momento dell’assegnazione di un nuovo lavoro rispondevano: Sini, sini mè! Mò, mò la facìmu sta fatìa nóa!che voleva significare: Ho capito che questo è un nuovo lavoro che si aggiunge all’altro; aspetta un po’, fammi finire quello che sto facendo, tra poco faccio anche questo!Certamente questi lavoratori erano molto tolleranti e dicendo “Mò-Mò” prendevano tempo perché la giornata era lunga.
Mercoledì = Santu Popò! (pò-pò = poi, dopo) – Il mercoledì la stanchezza del duro lavoro dava già le prime avvisaglie, ma il maestro, capo, fattore, padrone, etc. continuava imperterrito a spronare i lavoranti nell’efficienza continuando ad assegnare nuovi lavori, nonostante quelli in corso. Gli operai, capìta l’antifona, in questo giorno rispondevano invece: Sini, sini mè! Pò, pò la facìmu sta fatìa nóa!che voleva significare: Questo nuovo lavoro, che si aggiunge all’altro, può anche aspettare; devo finire prima quello che sto facendo, e poi faccio anche questo! Se il giorno prima erano stati più tolleranti e più sbrigativi, in questo terzo giorno lavorativo si doveva necessariamente rallentare un poco, altrimenti si arrivava distrutti a fine settimana.
Giovedì = Santu Spartitúru! (spartitúru = per divisione, metà di qualcosa) – Il giovedì, giorno di metà settimana, era consuetudine sentire tra gli operai l’espressione: Ménu mali ca ósci è santu spartitúru! che voleva dire: Siamo a metà settimana di lavoro, si avvicina il giorno di paga e anche quello del riposo settimanale, così possiamo stare in più con la moglie e con i figli!Un modo per consolarsi, darsi coraggio e continuare a lavorare senza ulteriori sforzi facendo bene il proprio mestiere.
Venerdì = Santu Totói! (totói = termine improprio per indicare due) – Il venerdì era il giorno più faticoso della settimana, sia per la stanchezza fisica che per l’esaurimento delle provviste in casa in quanto i soldi erano finiti. Gli operai rivolgendosi al proprio maestro, capo, fattore o padrone, etc. nel momento in cui venivano sollecitati a sbrigarsi, dicevano: Uhé mé, ósci è santu totói! che voleva dire in maniera ironica: Non assillarmi ancora con questa fretta, tanto mancano due giorni alla fine della settimana. Vedi di preparare i soldi che devi darmi domani per la settimana di lavoro che ho fatto! Un modo per sollecitare con sarcasmo e rimarcare che il lavoro procedeva bene e con serietà.
Sabato = Santu Nanà! ( na! …..nà! = tieni, prendi) – Anche se era un giorno di lavoro come gli altri, il sabato era quello preferito da tutti perché giorno di paga. Il maestro, capo, fattore, padrone, etc. consegnando la paga settimanale agli operai diceva: Quistu ti ttóca sta simána. Nà! …. nà! che a volte poteva essere inferiore a quella pattuita per mancanza di liquidità. I lavoranti contenti di aver ricevuto il compenso settimanale pattuito commentavano tra loro: Ménu mali ca ósci è santu nanà, ccussí putímu scè nnànti nn’òtra simana! cioè: Siamo contenti che il padrone ci ha pagato, così possiamo saldare i debiti e fare la spesa per la settimana che viene. Se resta qualche soldo è necessario metterlo da parte per qualche malattia!Era consuetudine in questo giorno lasciare il lavoro qualche ora prima del solito.
Domenica = Santu Sparpágghia! (sparpágghia = per sparpagliare, consumare, utilizzare un proprio bene) – Giorno di festa e di riposo. In famiglia il marito rivolgendosi alla moglie diceva:Mugghièri méa bbóna, ósci è santu sparpágghia e putímu cunzumà li sórdi pi nni ccattà lu mancià pi lla simána! tipica espressione di compiacimento e soddisfazione per la disponibilità di avere un po’ di soldi in tasca. Per prima cosa si metteva da parte qualcosa per gli imprevisti, poi si pagavano i debiti accumulati nella settimana e registrati sulla “libbrétta nera” dal negoziante ed infine con il resto si faceva la spesa per la settimana. Nonostante le rinunce e sacrifici i soldi non bastavano e nelle famiglie era tipica l’espressione: Lu Signori cu nni tè la fòrza di fatià pi totta la simana senza cu catìmu malati! che era un augurio a non rimanere a casa perché la malattia non era retribuita.
Spero che questi “strani santi di ieri”, oggi non più di moda in quanto sostituiti dai “nuovi santi” della casata progresso e consumismo, vengano sempre ricordati a testimonianza del nostro passato e dei sacrifici affrontati da tante generazioni. A presto!